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  • Vittorio A. Dublino

l’Arte di Ottenere Ragione nella DIALETTICA ERISTICA

La Dialettica Eristica. Ovvero come discutere con l’Arte di disputare in modo da ottenere ragione con mezzi leciti e illeciti.

Per gli studiosi e gli oratori antichi, Logica e Dialettica erano comunemente intesi come sinonimi, anche se (in greco) Logica significa > considerare, calcolare; mentre Dialettica > conversare:  due cose molto diverse.

Questa similitudine concettuale tra le due parole è stata mantenuta fino ad oltre il medioevo, fino a quando, nei tempi moderni, Kant intese la ‘Dialettica’ come qualcosa di ‘negativo’ (come ‘Arte della Controversia Sofistica’) preferendogli la ‘Logica’ come la Scienza delle Leggi del Pensiero (cioè del Metodo della Ragione). Dunque, la logica, quindi, come scienza del processo della pura ragione, dovrebbe essere costruita ‘a priori’. Mentre  la dialettica, per la maggior parte, potrebbe essere costruita solo ‘a posteriori’: vale a dire possiamo apprenderne significato e regole solo mediante una conoscenza esperienziale del disturbo che il pensiero puro (la Logica, la Verità) soffre attraverso le differenze individuali manifestate da due esseri razionali in disputa tra loro.

Quindi, che cosa è la DIALETTICA ERISTICA?

 

La Dialettica Eristica è l’Arte di disputare

 

” … precisamente è l’arte di disputare in modo da ottenere ragione, dunque per fas et nefas [con mezzi leciti e illeciti].

Si può infatti avere ragione oggettivamente nella cosa stessa, e tuttavia avere torto agli occhi dei presenti e talvolta perfino ai propri.

Ciò accade quando l’avversario confuta la mia prova, e questo vale come se avesse confutato anche l’affermazione, della quale però si possono dare altre prove; nel qual caso, naturalmente, per l’avversario la situazione si presenta rovesciata: egli ottiene ragione pur avendo oggettivamente torto. Dunque, la verità oggettiva di una proposizione e la validità della medesima nell’approvazione dei contendenti e degli uditori sono due cose diverse. (A quest’ultima è rivolta la dialettica).

Da che cosa deriva tutto questo? Dalla naturale cattiveria del genere umano. Se questa non ci fosse, se nel nostro fondo fossimo leali, in ogni discussione cercheremmo solo di portare alla luce la verità, senza affatto preoccuparci se questa risulta conforme all’opinione presentata in precedenza da noi o a quella dell’altro: diventerebbe indifferente o, per lo meno, sarebbe una cosa del tutto secondaria. Ma qui sta il punto principale.

L’innata vanità, particolarmente suscettibile per ciò che riguarda l’intelligenza, non vuole accettare che quanto da noi sostenuto in principio risulti falso, e vero quanto sostiene l’avversario. Se così fosse, ciascuno non dovrebbe fare altro che cercare di pronunciare soltanto giudizi giusti: quindi dovrebbe prima pensare e poi parlare.

Ma, nei più, all’innata vanità si accompagna una loquacità e una slealtà connaturata.

Essi parlano prima di avere pensato, e se anche poi si accorgono che la loro affermazione è falsa e hanno torto, deve nondimeno apparire come se fosse il contrario. L’interesse per la verità, che nella maggioranza dei casi è stato l’unico motivo per sostenere la tesi ritenutamvera, cede ora completamente il passo all’interesse della vanità: il vero deve apparire falso e il falso vero. Tuttavia anche questa slealtà, anche l’insistere su una tesi che già a noi stessi appare falsa, può trovare una scusante: molte volte, all’inizio siamo fermamente convinti della verità della nostra affermazione; ma ora l’argomento dell’avversario sembra rovesciarla: abbandonando però subito la nostra causa, spesso ci accorgiamo poi che avevamo invece ragione; la nostra prova era falsa, ma per quella affermazione era possibile darne una giusta: l’argomento risolutore non ci era venuto in mente subito. Perciò, si afferma ora in noi la massima di continuare ugualmente a combattere contro l’argomento contrario, anche quando esso appare giusto e decisivo, confidando sul fatto che la sua pertinenza sia anch’essa soltanto apparente, e che durante la disputa ci verrà in mente un altro argomento per rovesciarlo, oppure per confermare altrimenti la nostra verità: siamo così quasi costretti, o almeno facilmente indotti, alla slealtà nel disputare.

In questo modo, la debolezza del nostro intelletto e la stortura della nostra volontà si sorreggono a vicenda. Ne deriva che, di regola, chi disputa non lotta per la verità, ma per imporre la propria tesi, come pro ara et focis [per la casa e il focolare], e procede per fas et nefas, perché, come si è mostrato, non può fare diversamente. Dunque, di regola ciascuno vorrà far prevalere la propria affermazione, anche quando per il momento gli appare falsa o dubbia; e i mezzi per riuscirvi sono, in certa misura, offerti a ciascuno dalla propria astuzia e cattiveria: a insegnarli è l’esperienza quotidiana nel disputare.

Ciascuno ha dunque la propria dialettica naturale, così come ciascuno ha una propria logica naturale. Ma la prima non è una guida altrettanto certa della seconda. Nessuno penserà o inferirà tanto facilmente contro le leggi della logica: falsi giudizi sono frequenti, falsi sillogismi estremamente rari. Perciò, non capita tanto facilmente che qualcuno mostri una deficienza di logica naturale; capita, invece, di riscontrare deficienze nella dialettica naturale: quest’ultima è una dote naturale distribuita in modo diseguale (in ciò simile alla facoltà del giudizio, spartita in maniera assai diseguale, e lo stesso capita in realtà anche per la ragione).

Infatti, accade spesso che ci si lasci confondere e confutare da argomentazioni solo apparenti,

Dunque, anche se la logica non può avere una vera e propria utilità pratica, può senz’altro averla la dialettica. Mi sembra che anche Aristotele abbia posto la sua logica (analitica) principalmente come base e preparazione alla dialettica, e che questa sia stata per lui la cosa capitale. La logica si occupa della mera forma delle proposizioni, la dialettica del loro contenuto o materia: proprio per questo la considerazione della forma, in quanto considerazione dell’universale, doveva precedere quella del contenuto in quanto considerazione del particolare.”

Quali sono quindi i modi e i metodi che ci suggerisce Schopenhauer? Facciamoci aiutare da Wikipedia.

Modi e metodi

Il punto di partenza è una tesi avanzata da noi o dal nostro avversario. Per confutarla Schopenhauer individua questi percorsi:

  1. Modi:

  2. ad rem (verità oggettiva): la tesi è o non è in accordo con una verità oggettiva, per esempio “il cielo è blu”;

  3. ad hominem o ex concessis (verità soggettiva): la tesi contraddice una affermazione precedente di colui che l’ha enunciata.

  4. Metodi: