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  • Vittorio A. Dublino

Rivoluzione digitale, l’educazione della Forza Lavoro nella Terza Rivoluzione Industriale? &#

Non posso trattenermi dal sorridere non poco, quando sono spettatore di una trasmissione che solleva come ‘attuale’ il problema dopo 22 anni … quando il danno è stato già fatto e oggi il nostro Paese versa in queste condizioni …

Sebbene l’Italia sia stata la 4^ nazione in Europa a connettersi ad internet nel 1986, ancora nei primi anni ’90, in Italia, in pochi sapevano cosa fosse mai internet. Ancora meno erano coloro  che conoscevano il significato di “world wide web” o usavano l’email: era ancora il fax lo strumento ritenuto innovativo, ed il cellulare era ancora ritenuto un ‘must’ destinato a pochi eletti. Tuttavia negli USA iniziava già a farsi strada il prodromo di quella ‘società permanentemente interconnessa‘ che va sotto il nome di Società (globale) dell’Informazione, così come iniziamo a conoscerla oggi. Unanimemente riconosciuto come una delle cause dei profondi cambiamenti (e sconvolgimenti) sociali in atto nel mondo post-moderno. Le Università e le Istituzioni nordamericane iniziarono immediatamente ad organizzarsi per facilitare la gestione del cambiamento. Io che mi occupavo di comunicazione di marketing, mi rendo conto che per evolvere i servizi nella comunicazione, per conoscere il nuovo ed implementarlo,  era necessario andare all’estero, dove frequento i primi corsi iniziando a conoscere (ed appassionarmi)  alle prime applicazioni e alle nuove metodologie che saranno impiegate nella comunicazione del futuro, che oggi è il presente.


E in Italia …?


Alla  fine degli anni ’80 (inizi dei ’90), voler parlare di Cultura digitale e di Società dell’Informazione (a chi non fosse un professionista o un tecnico del settore I.C.T.) significava  essere percepito come una ‘cassandra’ che tentava di trattare argomenti che sarebbero stati utili solo come spunto di riflessione per creativi ed aspiranti scrittori del genere ‘futurologia catastrofica’ di matrice orwelliana.

D’altro canto, non solo i Pc domestici erano quasi inesistenti nelle famiglie italiane, ma anche nel mondo lavorativo si notava il ritardo: il desktop publishing (per non parlare del CAD)  era ancora ritenuto da gran parte dei professionisti della stampa (o di design) “come una sorta di divertimento per profani”. Seguendo i corsi all’Università, mi rendevo conto che anche l’accademia (nelle discipline umanistiche)  era in ritardo, salvo qualche lungimirante dipartimento.

Sono trascorsi oltre venti anni da quando mi sono unito al gruppo di liberi ricercatori del programma/progetto Umanesimo & Tecnologia che aveva l’obiettivo di ‘provocare culturalmente a scopo sociale‘  l’Accademia, la Politica e le Istituzioni, volendo dimostrare  e promuovere l’idea che la diffusione della Cultura Digitale e la Formazione Permanente  sarebbe stato un efficace driver di innovazione sociale e di sviluppo economico 

Oggi mi sono definitivamente convinto che il ‘ritardo culturale’ (sperimentato sulla ‘nostra pelle’) che in quegli anni caratterizzava gli influencers della politica, dell’accademia e molti decision makers italiani sarà descritto come una delle cause principali dell’attuale involuzione della competitività economica della nostra nazione. 

Ho partecipato un gruppo di ‘ricerca di scopo sociale per la promozione della Cultura Digitale’ già 22 anni fa, sono stato fautore di un esperimento per l’inclusione e-sociale finanziato da una Istituzione (la Provincia di Napoli, prima istituzione Italiana ad attuare un progetto su questa tematica) e fautore delle linee guida di un master post-laurea universitario per formare (probabilmente per primi in Europa)  il ‘Mediatore della Cultura Digitale‘, nel 2004 e nel 2006.

Dunque, non posso trattenermi dal sorridere un po’ quando sono spettatore di una trasmissione che solleva come attuale il problema del Digital Divide Culturale dopo 22 anni, quando il danno è già fatto


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