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Vittorio A. Dublino

EPISTOCRAZIA contro DEMOCRAZIA ….?

Avrebbe senso concedere alle persone con maggiore conoscenza il diritto esclusivo di voto …? 

Gli ultimi avvenimenti politici (l’elezione di Trump, la Brexit, le ultime elezioni politiche italiane) che vedono l’attestazione dei movimenti populisti segnano anche l’affermazione di sentimenti di segno opposto, che diventano anche questi sempre più popolari ed in cui si palesa la convinzione che un’Epistocrazia possa risolvere i problemi creati dalla Democrazia.

Per definizione, un’Epistocrazia è un sistema di voto basato sulla Conoscenza. Al contrario di una Democrazia nella quale ognuno può dare un voto indipendentemente da chi sia, nell’Epistocrazia si attribuisce maggior valore ai voti di coloro che potrebbero dimostrare la propria conoscenza del sistema politico. I difensori di questa tesi sostengono che un regime epistocratico risolverebbe i problemi che si celano in una democrazia, questi causati da elettori poco informati. La convinzione è che un elettorato informato prenderebbe le decisioni di voto con maggiore consapevolezza, sradicando così i problemi associati generalmente alla mancanza di conoscenza politica in una democrazia.

I difensori dell’Epistocrazia sollevano preoccupazioni rilevanti su come funzionano le Democrazie sottolineando quanto l’elettore medio conosca in effetti molto poco i meccanismi della politica, evidenziando che non esiste per l’elettore medio un’incentivo sufficiente per sforzarsi di conoscere tali meccanismi dunque il suo voto è in effetti irrilevante per il buono, ed oggettivo, funzionamento di una grande democrazia; questi sostenitori sottolineano che l’adozione dell’Epistocrazia come mezzo di rappresentazione non è la fine della democrazia della sovranità popolare, ma solo una sua leggera riduzione finalizzata al raggiungimento di un maggiore efficienza del voto.

I detrattori dell’Epistocrazia invece evidenziano che esiste qualcosa di fondamentalmente sbagliato riguardo alla sua natura inegualitaria. Essi asseriscono che mentre superficialmente l’Epistocrazia sembra essere una soluzione praticabile per contrastare una moltitudine di problemi creati dalla Democrazia, in effetti si paleserebbero pregiudizi socioeconomici in chi avrebbe diritto a votare: l’istruzione – e quindi una certa quantità di ricchezza – diventerebbero effettivamente il prerequisito necessario per avere diritto al voto; inoltre si evidenzia che non è dimostrato che un elettorato più istruito si tradurrebbe in risultati intrinsecamente migliori nelle elezioni.

La domanda di fondo è: avrebbe senso concedere alle persone con maggiore conoscenza il diritto esclusivo di voto, poiché molte persone che possiedono simili quantità di conoscenza, in seguito alle loro diverse esperienze e background, comunque scelgono di interpretare le questioni in modo diverso?

Qualcosa sta certamente vacillando nelle nostre Democrazie, tuttavia abbandonare completamente questa istituzione (la Democrazia) non sembrerebbe dunque la soluzione adeguata. La soluzione migliore, anche se la meno rapida, potrebbe essere quella di concentrare i maggiori sforzi sui fattori trainanti la capacità delle popolazioni di prendere decisioni misurate, intraprese con una generale coscienza critica consapevole, vale a dire migliorando la qualità dell’istruzione specifica in Educazione civica fin dalla prima età.

Ma a ben vedere cosa accade tra la gente che ‘interagisce virtualmente nei social media e fisicamente al bar’ dividendosi in tre categorie principali  (e ci rendiamo conto che Brennan ha ragione descrivendo le caratteristiche di Hobbit, Hooligan e Vulcaniani) la domanda principale che mi viene in mente è: sarebbero disposti i nostri attuali e futuri politici ad avere a cuore un corpo elettorale più educato, dunque maggiormente consapevole, quindi che sia dotato di coscienza critica, oppure gli fa gioco altro?!

 

“Gli Hobbit

Ne ‘Il Signore degli anelli’, gli hobbit non si curano molto di quello che accade nel mondo esterno. Vogliono soltanto fumare la pipa, curare l’orto e mangiare. Il loro omologo nella società è un Cittadino che non si interessa molto alla politica, ha poche opinioni sulle questioni politiche, sa poco di politica, e non partecipa …”

 … Circa metà dei cittadini statunitensi – in particolare, quelli che non vanno a votare – sono Hobbit. 

Gli Hooligan

Nel gioco del calcio questi conoscono perfettamente il loro sport, ma sono tribali e faziosi. Per loro, essere tifosi fa parte della loro identità. Gli Hooligan odiano i tifosi delle altre squadre. L’omologo nella società sarebbe un cittadino che possiede solide convinzioni politiche, odia coloro che sostengono altre idee, ne sa parecchio di politica ma è fortemente prevenuto e legge soltanto le notizie che possono confermare le sue opinioni …

… L’elettore tipo negli USA è un Hooligan

I Vulcaniani

In Star Trek i Vulcaniani sono pensatori, scientifici e iper-razionali. L’omologo nella Società sarebbe un Cittadino che conosce molto la politica, non fedele per partito preso alle proprie idee ed è disposto a cambiare la propria opinione di fronte a nuovi elementi. Difficilmente siamo così … 

Questo è un problema per la democrazia perché molte teorie su come la democrazia dovrebbe funzionare presuppongono che gli individui agiscano come Vulcaniani, mentre in realtà tutto ciò che abbiamo sono Hobbit o Hooligan!”

 

A riguardo come spunto di riflessione voglio riportare alcune considerazioni.

(*) … “Il modello pedagogico liberale, (…) , non può sottrarsi all’inevitabile domanda relativa alla sua attualità nei confronti di un mondo in continua trasformazione e dai tratti sempre più sfuggenti. E’ in grado, in altri termini di proporre percorsi educativi che sappiano fronteggiare le derive tecnocratiche ed efficientistiche imperanti nella società globalizzata? Può ancora rappresentare un argine nei confronti delle dinamiche massificanti ed alienanti sempre più incombenti nella vita di ogni uomo? Le considerazioni (fino ad ora) svolte (…) hanno evidenziato il paradosso che proprio la natura indiretta del modello pedagogico liberale ne ha sancito la fortuna nei confronti di formalizzazioni più compiute e sistematiche. L’aver proposto un impianto formativo per successive conquiste ed integrazioni ha rappresentato sicuramente il tema vincente di un modello in grado di affrontare le mutevoli vicende della modernità. Questo, tuttavia, non può considerarsi oggi un motivo sufficiente a garantirne la validità, soprattutto in un clima culturale che mette in discussione il principio ordinatore del modello pedagogico liberale, ovverosia la tutela della libera espressione individuale. E’ necessario, di conseguenza, che tale modello venga rivisto alla luce delle profonde trasformazioni che attraversano la realtà attuale. Ciò non comporta uno stravolgimento dell’intero impianto, cosa in sé contraddittoria, ma la valorizzazione di quelle componenti in grado di opporsi alle derive antiumanistiche così fortemente presenti oggi (…)

Quella maggiormente evidente è sicuramente rappresentata dalla stessa centralità dell’educazione. Quest’ultima, come abbiamo cercato di dimostrare nella rilettura della tradizione liberale, non riveste esclusivamente una funzione strumentale, ma costituisce un’esperienza originaria in grado di anticipare la stessa dimensione politica. E’ in questo senso che è lecito parlare di un vero e proprio capovolgimento che porti ad una piena valorizzazione del processo formativo. Ritenere, ad esempio, che nel mondo attuale la titolarità di certi diritti discenda semplicemente dall’appartenenza ad una determinata condizione (etnica, sociale, culturale) risulta alquanto anacronistico. Solo l’esperienza educativa, se correttamente intesa, può superare una situazione di questo tipo, puntando alla formazione di un soggetto che viva la cittadinanza in modo del tutto nuovo. Numerosi, a tal proposito, sono i contributi (Nussbaum, 1997; Matteucci, 1998; Morin, 1999) che, partendo da punti di vista differenti, convergono intorno ad uno stesso concetto: la nuova nozione di individualità dovrà racchiudere al proprio interno una molteplicità di direzioni al fine di acquisire una nuova posizione nel mondo. Sommariamente queste direzioni possono essere sinteticamente indicate come la capacità di recuperare modalità esistenziali non esclusivamente razionali, di guardare in modo critico alla tradizione di appartenenza e di saper utilizzare l’immaginazione narrativa. A ben guardare, tuttavia, questi nuovi significati della soggettività sono già inscritti all’interno del modello pedagogico liberale, così attento a coniugare le istanze individuali con la scoperta dell’alterità e la valorizzazione dello spirito associazionistico (…) 

Ribadito il concetto che nella tradizione liberale il momento educativo – inteso nella sua complessa articolazione – funge da esperienza irrinunciabile e qualificante, ci pare di non secondaria importanza sottolinearne due aspetti: l’idea di perfezionamento morale e la valorizzazione della multiformità dei comportamenti umani. Il primo evidenzia come ogni proposito di riforma sociale non possa essere disgiunto dall’acquisizione di certi abiti comportamentali, che sinteticamente possono essere individuati nella disposizione del soggetto ad interrogarsi intorno alla propria condizione e nell’acquisizione di un giudizio critico intorno alla realtà esterna. Probabilmente si tratta del maggior contributo che il modello pedagogico liberale ha offerto alla convivenza democratica, contributo che diviene ancor più importante oggi in un clima culturale e sociale teso alla omologazione dei pensieri e comportamenti. Non esiste autore liberale che abbia sottaciuto questo aspetto e anche coloro che sono ritenuti i padri dell’ordine sociale spontaneo, come ad esempio A. Smith, hanno più volte segnalato la necessità di porre il fattore morale a base delle relazioni umane. Come abbiamo più volte ricordato, questo comporta la disponibilità – acquisibile principalmente il processo educativo – a superare le semplici prerogative individuali, secondo un contino percorso di affinamento critico delle proprie capacità di giudizio (…) 

Il secondo aspetto del modello pedagogico liberale è rinvenibile nella salvaguardia – estremamente attuale ancor oggi – delle differenze, di qualsiasi natura esse siano. Si tratta, ovviamente, della necessaria conseguenza del punto precedente, ovverosia del riconoscimento alle altre soggettività degli stessi diritti che contraddistinguono la condizione individuale. Anche in questo caso l’esperienza insegna che la semplice attribuzione teorica è sì necessaria, ma non sufficiente. L’estensione dei diritti rimanda, in qualsiasi caso, alla costruzione di modalità relazionali nuove, da vivere nella concreta pratica quotidiana. E questo, come aveva ben visto J. Dewey, non può che valorizzare ancora di più il processo educativo quale originario ed iniziale momento di formazione politica.”

(**) “…È stato detto che la democrazia sia la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre fin qui sperimentate. Ma se la concezione relativistica dei regimi democratici come ‘male minore’ appare in molte analisi e teorie moderne, da Machiavelli a Sartori, passando per Weber e Schumpeter, nessuno prima di Jason Brennan aveva sottoposto a un processo altrettanto spietato la ‘miglior forma di governo possibile’. A giudicare dai risultati, infatti, il regime che dovrebbe garantire a tutti i cittadini il diritto di essere guidati da leader competenti e capaci di prendere decisioni ponderate, somiglia troppo spesso al regno dell’irrazionalità e dell’ignoranza: molti elettori compiono le loro scelte sulla base dell’emozione o del pregiudizio, non conoscendo neanche, in numerosi casi documentati, la forma di governo vigente o addirittura i nomi dei leader in carica

 

La maggior parte della gente crede che la democrazia sia l’unica forma di governo accettabile; questi credono che le persone abbiano diritto ad una uguale porzione di potere politico, e credono che la partecipazione politica sia un bene per tutti; che ci autorizza a ‘chiedere’ e che ci aiuta ad ottenere ciò che vogliamo; che ci rende più intelligenti, più virtuosi e più premurosi gli uni per gli altri

 

Queste sono alcune delle idee più care sulla democrazia. Tuttavia Jason Brennan nel suo libro ci dice che forse abbiamo torto.  Brennan sostiene che la democrazia dovrebbe essere giudicata dai suoi risultati, … e l’analisi dei risultati ci dimostra che questi non sono in effetti sufficientemente buoni. 

Come un imputato ha diritto ad un processo equo, anche i cittadini hanno il diritto ad un governo competente. Ma la democrazia è la regola dell’ignorante e dell’irrazionale: i risultati delle attuali democrazie ci dimostrano che troppo spesso non sono all’altezza.  Nessuno può reclamare come suo diritto fondamentale di assumere una quota di potere politico, l’esercizio del potere politico fa poco bene a tutti noi.

Infatti, un’ampia gamma di ricerche in scienze sociali dimostra che la partecipazione politica e la deliberazione democratica tendono effettivamente a peggiorare le persone: rendendole più irrazionali, più prevenute e meschine.

Dato questo fosco quadro sulle democrazie, Brennan sostiene che un nuovo sistema di governo è l’Epistocrazia e che sarebbe tempo di scoprirla e sperimentarla.  Nel suo libro Brennan offre una critica provocatoria della democrazia in una lettura essenziale per studiosi e studenti di scienze politiche e discipline sociali e politico/economiche.

La proposta (provocatoria) di Brennan è di sperimentare una forma di governo ‘EPISTOCRATICA’,  che sia compatibile con parlamenti, elezioni e libertà di parola, ma distribuisca il potere politico in proporzione a conoscenza e competenza

 

References

(*) tratto da: ‘Conclusioni’ di Marco Biagini in “EDUCARE LA DEMOCRAZIA EDUCATIVO E POLITICO NELLA TRADIZIONE LIBERALE”, 2008, DOTTORATO DI RICERCA IN PEDAGOGIA, DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

(**) recensione per: Jason Brennan, “Contro la democrazia”, 2018, Luiss University Press. Jason Brennan è professore associato in Strategia, Economia, Etica e Politica Pubblica presso la McDonough School of Business della Georgetown University. È stato definito dal Wall Street Journal ‘uno dei maggiori esperti mondiali nella teoria politica ed elettorale. Tra i principali argomenti dei suoi scritti, la teoria della democrazia, la critica della concezione del voto come dovere civico, il rapporto tra competenza ed esercizio del potere, la libertà ed i fondamenti morali della società commerciale

  1. D. Slack, Egalitarianism or Epistocracy? (liberamente tradotto da)

  2. A. Jeffrey,LIMITED EPISTOCRACY AND POLITICAL INCLUSION”, 2017, Cambridge University Press

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