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Vittorio A. Dublino

Chi è volgare è anche più sincero?

… nella nostra ricerca, abbiamo riscontrato una costante e positiva relazione tra l’uso delle parolacce e l’onestà: a livello individuale il ‘volgare’ si associava ad un individuo che usava meno la menzogna ​​e l’inganno, a livello di interazioni sociali la volgarità si associava ad una maggiore integrità.”

“Frankly, we do give a damn: the relationship between profanity and honesty!” è’ il titolo di  una ricerca internazionale  psico-sociale effettuata su un campione di  circa 73.000 persone, che ha dimostrato in maniera empirica che esiste un nesso tra l’uso del Turpiloquio e l’Onestà. Le parolacce dunque sarebbero le parole magiche per comunicare “pane al pane, vino al vino” …

Vito Tartamella scrive: “Le parolacce, infatti, non sono solo il linguaggio dell’odio (hate speech) ma anche quello della schiettezza e della confidenza: si usano per esprimere senza filtro le proprie emozioni e anche fra amici, per dire “pane al pane e vino al vino” (“Lo sai che hai fatto una cazzata?”). Ora, per la prima volta, questo aspetto del turpiloquio è stato indagato in modo scientifico, con una ricerca guidata dallo psicologo sociale olandese Gilad Feldman.

Vito Tartamella nel suo saggio “Parolacce” spiega ancora: “le parolacce sono frammenti d’una lingua magica, con cui possiamo esprimere profonde verità e libertà, unendo il sacro e il profano.” (*)

In “ANCHE FRANCESCO LE DICEVA UNA RIFLESSIONE SOCIOLINGUISTICA SULL’USO DELLE PAROLACCE” (**) di Natale Fioretto (***) ci viene spiegato.

“Il sistema linguistico non distingue fra parole buone e parole cattive, la distinzione è di pura matrice sociale e, dunque, convenzionale; è in questo ambito che si trovano parole tabuizzate. Vale comunque un principio generale: sia in presenza che in assenza di motti osceni, si comunica sempre. Non di rado è il linguaggio sorvegliato e volutamente ricercato a rappresentare un intralcio comunicativo

Un esempio efficace costruito intorno a una volontà strategicamente non comunicativa può essere considerato l’intervento del Presidente della Regione della Campania Vincenzo De Luca che, indagato per concussione, liquida le accuse evocando Eraclito e percorre il cammino inverso rispetto alla politica populista dei facili slogan infarciti di male parole. Nel caso specifico De Luca vuole porsi su di un livello superiore alle accuse che gli vengono mosse utilizzando moduli espressivi estremamente ricercati. Risulta evidente che a lui non interessa mostrare di essere “con”, al contrario, con la sua citazione: “Ethos anthròpo daìmon” (il carattere è il destino dell’uomo) – egli si pone “fuori” o meglio “al di sopra” dell’opinione media e dell’informazione immediatamente fruibile; una palese frattura con le asperità del linguaggio politico italiano che ha nel segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini un rappresentante esemplare: «La giustizia italiana mi fa schifo», «Alfano inutile e cretino, mai con noi» , «Vaffanculo alla Fornero e a chi ce l’ha voluta al governo». Anche il Presidente del Consiglio Matteo Renzi rivolgendosi al parterre della Stazione Leopolda nel riferirsi al salvataggio di alcuni noti istituti di credito, ha deciso di usare un’espressione incisiva che, almeno pubblicamente, non appartiene al suo metodo comunicativo “scamiciato”, ma sorvegliato: «Chi pensa di strumentalizzare la morte delle persone mi fa schifo». Gli esempi potrebbero moltiplicarsi così come si potrebbe intensificare il senso di disagio o di aperta opposizione nei confronti di moduli espressivi tanto diretti, ma non va dimenticato che il turpiloquio, per quanto sottoposto a interdizione semantica, ha una sua intensa riconoscibilità anche in chi lo rigetta per scelta o abitudine; il principio a cui si fa riferimento è quello che il fondatore della sociolinguistica William Labov definisce ‘COVERT PRESTIGE’: cioè il ‘prestigio celato di espressioni linguistiche’ che godono di un alto livello di rispetto, accettazione e solidarietà da parte di un determinato gruppo, che invece  sarebbero considerate sanzionabili dalla maggioranza”.  A tale sfera afferiscono i gerghi, gli idioletti e in, una visione più ampia, i dialetti.

Vasta parte della stampa nazionale ha avuto delle reazioni sconcertate a proposito della veemenza degli interventi in campo politico, ma non esclusivamente, del leader del Movimento 5 Stelle e ideatore dell’iniziativa “Vaffa-Day”, Beppe Grillo. Da sempre noto come comico e riconoscibile la sua cifra espressiva, Grillo ha scompaginato con i suoi spettacoli irriverenti prima la scena televisiva italiana, poi quella politica proprio a opera del suo linguaggio caustico, sfrontato e della mimica aggressiva. Possiamo affermare che per certi versi è il personaggio Grillo nella sua interezza a generare sconcerto nel pubblico teatrale e televisivo. Nelle prime apparizioni televisive l’artista, infatti, non di rado, si presentava in scena indossando pantaloni o jeans tanto attillati da richiamare immediatamente l’attenzione sui genitali. In un periodo in cui i programmi televisivi erano ancora paludati questo modo di presentarsi non poteva che essere disturbante. Il personaggio da allora si è evoluto, è cambiato, ma il tratto urticante non è venuto meno tanto che «una delle prime cose che vengono in mente pensando a Grillo è il turpiloquio».

Otterremmo gli stessi effetti ridimensionando lo stile del comico genovese? Potremmo sostenere che le parolacce di cui egli fa largo uso vadano a inficiare la fluidità della comunicazione?

Tutt’altro. Nel caso specifico, l’insostenibilità del suo linguaggio o la corrosività di certe sue metafore se da un lato infastidiscono, dall’altro rafforzano nell’interlocutore un’idea di prossimità, quando non di aperta simpatia, nei confronti di chi fa lo sgambetto alle regole della politica svelando la vacuità del suo primo tratto distintivo: il linguaggio.

La protesta, in questo caso, si radicalizza, nel senso che parte da radici diverse, tanto da non riconoscere non solo e non tanto le più elementari forme di cortesia, quanto nel non accettare il linguaggio della politica proponendone uno nuovo, sgradevole quanto si vuole, ma efficace. Il turpiloquio, infatti, violando dei tabù linguistico-sociali e delle liturgie che hanno nella tradizione piena giustificazione, rappresenta una minaccia per l’ordine costituito.

All’esempio particolarmente fortunato di Grillo, potremmo aggiungere le inveterate abitudini di Vittorio Sgarbi alla parolaccia riconducibili nello stesso orizzonte di protesta e di svelamento. O al linguaggio volutamente irritante di Giuseppe Cruciani giornalista di Radio24 e conduttore di uno dei più controversi programmi radiofonici dell’emittente milanese: ‘La Zanzara’

A latere segnaliamo che «il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia Andrea Orlando, ha approvato in esame definitivo un decreto legislativo recante disposizione in materia di depenalizzazione [ … ] L’obiettivo della riforma è quello di trasformare alcuni reati in illeciti amministrativi, anche per deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, e per rendere più effettiva la sanzione». In base a tale decreto legislativo, anche il reato di «ingiuria» diventa semplice «illecito civile».”

(*) Vito Tartamella (giornalista scientifico, caporedattore centrale del mensile Focus ) in “Parolacce”  
(**) “Anche Francesco le diceva. Una riflessione sociolinguistica sull'uso delle parolacce”, Graphe.it edizioni. Pubblicazione realizzata con il contributo dell'Università per Stranieri di Perugia
(***) Natale Fioretto è docente di lingua italiana e di traduzione dal russo presso l'Università per Stranieri di Perugia. Si occupa da anni di metodologia dell'insegnamento della lingua italiana come L2.
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