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  • Vittorio A. Dublino

ATTIVISTI DI CONOSCENZA..? Mercanti di Lungimiranza!

Nel 1997 viene pubblicato sull’European Management Journal, un saggio a firma di Ikujiro Nonaka, Georg von Krogh e Kazuo Ichijo, che introduce nella letteratura di riferimnto al management aziendale il concetto di “Knowledge Activist” come il fattore abilitante della Conoscenza Aziendale, e più in generale di tutte le Organizzazioni.


In questo post, ne riportiamo una sintesi in traduzione, estraendone parte salienti che implementiamo con alcuni altri concetti tratti da altre fonti correlati all'Attivismo di Conoscenza.

Un Attivista di Conoscenza fa riferimento a Qualcuno, ad un Gruppo oppure a un Dipartimento che si assume la particolare responsabilità di energizzare e coordinare gli sforzi per la circolazione e la realizzazione di nuova Conoscenza all’interno di tutta l’Organizzazione con lo scopo di facilitare la realizzazione di una Intelligenza Collettiva

Nel 1997 viene pubblicato sull’European Management Journal, un paper di Ikujiro Nonaka, Georg von Krogh e Kazuo Ichijo, ch introducono il concetto del “Knowledge Activist” come il fattore abilitante della Conoscenza Aziendale, più in generale in tutte le Organizzazioni.

In questo post, ne riporto una mia traduzione, estraendone parte salienti che integro con alcuni altri concetti correlati tratti da altre fonti.   


La definizione di  “Knowledge Activist’ (Attivista di Conoscenza) fa quindi riferimento ad una entità aziendale che si assume la particolare funzione di responsabilità tesa ad energizzare e coordinare gli sforzi per la circolazione e la realizzazione di nuova Conoscenza all’interno di tutta l’Organizzazione 

Lo scopo fondamentale consiste nel facilitare le condizioni per la creazione di Intelligenze Collettive


Questa funzione racchiude in se, tre ruoli:


1. Catalizzatore per la Creazione di Conoscenza

Con il ruolo di  “Catalizzatore della creazione di conoscenza”, egli  agisce  al fine di favorire processi sociali di creazione di conoscenza, il Knowledge Activist  è l’innesco di un processo teso a creare un ecosistema,  un contesto,  favorevole alla raccolta,  all’elaborazione e alla produzione di nuova Conoscenza.


2. Connettore di iniziative per la Creazione di nuova Conoscenza

Come “Connettore di iniziative di creazione di conoscenza”, il Knowledge Activist  pensa, definisce e stabilisce forme di ‘Comunità immaginate’ all’interno dell’Organizzazione, facilitando la costituzione di mappe condivise di cooperazione tra le  “micro-comunità di pratica e di Conoscenza”.​


3. Mercante di lungimiranza [visionario]

Quale ‘Mercante di lungimiranza’, l’Attivista di Conoscenza, infine, fornisce gli indirizzi e la direzione generale per la creazione di nuova Conoscenza facilitando l’interazione tra soggetti di diverso background tecnico/culturale.


Gli autori mettono in guardia su possibili equivoci, e le insidie che si possono celare dietro la funzione del Knowledge Activist.  In primo luogo, il compito di un Attivista di Conoscenza non è quello di consentire la creazione di Conoscenza sotto controllo; in secondo luogo, non è preposto come unico collegamento ad altri con altri, ma deve garantire e facilitare processi di auto-connessione.  Infine, la mancanza di creazione di Conoscenza all’interno di una azienda non può essere surrogata dalla sola istituzione di un Attivista di Conoscenza, tutte le funzioni aziendali devono entrare con consapevolezza e cognizione di causa nei processi di creazione di Conoscenza Aziendale.


L’attivazione di nuove conoscenze, sarà in larga misura dipendente dall’energia, l’impegno e la durata del tempo messo a disposizione di questi processi di creazione della conoscenza.  La funzione di Knowledge Activist  trova il suo esponente tra diverse fonti nelle diverse società. Tra le possibili scelte, nel Centro di R&D, tra gli strateghi dell’azienda, la conoscenza e le modalità di trasferimento tecnologico vengono trattate e discusse allo stesso modo sia da singoli individui che interi dipartimenti che si costituiscono  Attivisti della Conoscenza all’interno dell’Azienda. Un Knowledge Activist ​, quindi,  può risiedere in un determinato reparto o in una persona in particolare, ma può anche essere situata in reparti e funzioni già esistenti, oppure può essere preso come un incarico speciale da parte di individui o dipartimenti.


Il ruolo di  ‘Catalizzatore’ nel processo di ‘Creazione di Conoscenza’ di un Knowledge Activist

E’ opinione generale che i processi di organizzazione sociale e di cambiamento hanno bisogno di un qualche tipo di innesco.


Alcuni di questi possono essere negativi, come l’ identificazione dei senzatetto come problema importante che inficia sulle “difficoltà” sociali, una crisi dovuta a cambiamenti nelle politiche fiscali o delle regole del lavoro, un guasto ad una centrale elettrica, l’ ingresso nel mercato nazionale di un forte concorrente globale, una catastrofe naturale.

Altri eventi sono visti come positivi, ad esempio la creazione di programmi di ricerca finanziati a livello governativo, le riforme nei servizi di assistenza medica o l’avvento di una nuova tecnologia informatica.


Frequentemente, il cambiamento viene innescato dalle iniziative di gruppi di attivisti; nel nostro caso il loro lavoro viene visto come quello di un Catalizzatore nei processi chimici. Come per alcuni processi chimici che si verificano, un agente attivo o un catalizzatore deve essere presente, allo stesso modo, per alcuni processi sociali che si verificano: un catalizzatore è indispensabile, poichè la creazione di conoscenza è un processo fragile e molto spesso ostacolato da forti barriere.


Come catalizzatore di creazione di conoscenza, il Knowledge Activist svolge, quindi, due funzioni.

In primo luogo, viaggia liberamente in giro nella società, parlando con i membri dell’organizzazione, noncurante dei confini organizzativi e dei livelli, estrapolando una serie di nuovi dati, idee, intuizioni, opportunità, domande, questioni e problemi. Raccoglie tali segnali ed elabora progressivamente alcuni “fattori scatenanti di processo”. Questi “trigger” (innesco) di processo avvengono in forma di domande: ‘perché’, ‘come’, ‘cosa’, ‘dove’ e ‘quando’.


Ad esempio, un Knowledge Activist, potrebbe imbattersi in uno studio abbandonato eseguito da alcuni studenti universitari sulla fidelizzazione dei clienti (in cui viene studiata la percentuale di clienti che acquisterebbe nuovamente il prodotto dopo aver terminato il suo consumo) su un determinato prodotto. I dati ottenuti evidenziano un allarmante tasso di conservazione. Un tipico trigger di processo potrebbe essere: perché la fidelizzazione al nostro prodotto è così bassa? Perché il cliente preferisce acquistare i prodotti dei nostri concorrenti, dopo aver provato i nostri? Quali cambiamenti dobbiamo fare nel prodotto, nella promozione, nel packaging, nel prezzo o nella distribuzione al fine di soddisfare al meglio il cliente?


Il Knowledge Activist pone anche la domanda chiave “Chi?”

La sua risposta dovrebbe essere l’indicazione della funzione in cui si dovrebbe creare ed accumulare la conoscenza per rispondere alla domanda; il Knowledge Activist dovrebbe portare, dunque, il trigger di processo ad un funzionario commerciale, ad un direttore marketing, ad  un product manager, ad un product developer, e così via .


Tenendo presente che generalmente la Conoscenza è in parte tacita e che la creazione di conoscenza è fortemente legata alle nostre percezioni [quindi alle nostre mappe mentali (n.d.r.)] perché siamo esseri umani, la seconda funzione di un Attivista di Conoscenza dovrebbe essere quella di creare un ecosistema o un contesto per la condivisione e successivamente la Creazione di Conoscenza.


Questo ecosistema ha un duplice scopo: utilizzare e sfruttare l’esperienza personale dei partecipanti per la condivisione della conoscenza, alleviando gli stessi del pesante fardello delle esperienze passate, cioè creare i presupposti affinché le esperienze passate del singolo non rappresentino un Dogma insormontabile per il cambiamento delle Mappe mentali precostituite attraverso le esperienze, positive o negative che siano.


Le esperienze sono fonti di spunti di riflessione ed osservazioni, ma lo spazio destinato alla Creazione di nuova Conoscenza deve essere in grado di colmare il divario tra la cosiddetta “saggezza comune”  e  la “saggezza comune obsoleta”.


Tale spazio richiede una fusione innovativa tra novità architettoniche, tecniche di intervento e di moderazione, strumenti innovativi per la comunicazione visiva ed un “sound” misto di persone provenienti da diversi background culturali e settori funzionali. Ad esempio, l’architettura innovativa di uno spazio destinato alla creazione di conoscenza potrebbe essere un edificio con diverse sale per differenti fasi di creazione di conoscenza, diversi soazi per la condivisione di conoscenze tacite, per la creazione di pensieri di concetto, per lo sviluppo del concetto di motivazione, sviluppo di prototipi e il  cross-levelling della Conoscenza.


(…) Partecipanti con background eterogeneo risulterebbero fattori positivi nel processo di creazione di conoscenza, soprattutto nelle fasi di creazione dei concepts e di argomentazione delle loro motivazioni creative. Poiché sembra che ci sia una relazione positiva tra eterogeneità e creatività in team inter-funzionali e poiché il concetto di creazione pone i cardini sulla creatività, piuttosto che sulle competenze, sarebbe consigliabile avere diverse esperienze dei partecipanti.”

Per “motivare un concetto, poiché è necessaria una vasta gamma di punti di vista, il Knowledge Activist farebbe bene a formare un gruppo eterogeneo tra persone provenienti da diversi background culturali, livelli organizzativi e competenze funzionali . In sostanza, l’idea alla base di questo ‘Spazio della Conoscenza’ è creare ciò che il sociologo francese Pierre Bourdieu chiama ‘Habitus’ (Bourdieu , 1980): ‘una sorta di principio socialmente costruito su un’improvvisazione regolata’ (Calhoun , 1991), dove la tradizione e la creatività si intersecano per creare nuova conoscenza”. Si dovrebbe anche notare che le iniziative di creazione della conoscenza hanno bisogno di un processo di  intenzionalità a lungo termine. Il caso del Maiekawa (un processo di innovazione di una nuova macchina per il disossamento di polli), ad esempio, è durato 14 anni, complessivamente. Come catalizzatore di creazione di conoscenza, l’Knowledge Activist farebbe bene a ricordare le parole di Paul Ricoeur:


parlare di iniziativa significa parlare di responsabilità”.

Pensando ad un contesto sociale, infatti, Ricoeur attira la nostra attenzione alla volontà, intenzione e capacità di resistenza per seguire gli impegni, bisogni e desideri. Una iniziativa di creazione di conoscenza, a volte, necessita di questo tipo di “energia” per portare avanti il processo.


Knowledge Activist come Connettori di iniziative per la  Creazione di Conoscenza

“(…) Grandi e medie imprese dovrebbero obbligarsi ad avere un ampio spettro di creazioni di conoscenza, che si verifichino simultaneamente. A livello dipartimentale, la gente coinvolta nei processi di creazione, giunge a idee di nuovi prodotti e servizi, a diversi modi di produzione, a nuovi modi di pensare e pratica di controllo, e così via. A livello di gruppo, le nuove idee vengono scambiate e sviluppate ed alcune delle quali potrebbero trasformarsi in un business forte per l’ espansione dell’azienda. I singoli membri dell’organizzazione hanno un grande potenziale creativo, prodotto da loro visioni, speranze e aspirazioni.(…) March e Olsen (1976) hanno descritto questo fenomeno con la loro teoria sul modello di Organizzazionegarbage can”.


Persone, scelte, problemi e soluzioni sono vagamente collegati e si incontrano in modo casuale. Per esempio, un ingegnere di produzione di alluminio grezzo potrebbe avere difficoltà ad ottimizzare i suoi processi di produzione attraverso la realizzazione di strumenti di controllo di processo. La sua prima reazione è quella di cercare tali soluzioni al di fuori della società, contattando un certo numero di consulenti tecnici.


Quello che lui non sa, però (e non si preoccupa di scoprire), è che il direttore di produzione di una diversa divisione di produzione di leghe di ferro ha avuto un problema simile qualche tempo fa. Per questo motivo, a quel tempo, aveva già acquisito una consulenza tecnica esterna. L’impianto ha attraversato una serie di prove ed errori prima di fissare un valido processo di control-system. Anche se i materiali prodotti sono diversi, ingegneri di impianti di alluminio possono ottenere importanti informazioni dal gestore dell’impianto di fusione di ferro, come ad esempio una consulenza sul lavoro, quali sono i fattori da considerare nella scelta di un nuovo sistema, l’esperienza di implementazione di un nuovo sistema di controllo, tempi e budget per un tale processo, e così via. I costi di tempo e di denaro per l’azienda che si dibatte in prove ripetute e nell’analisi degli errori nella fabbrica di alluminio,  potrebbero rivelarsi sostanziali, ma potrebbero essere molto ridotti da uno sforzo attivo teso a collegare la “soluzione” e il “problema”.


Molte aziende manifatturiere ora si rendono conto dell’importanza di connettere le persone, problemi, soluzioni e scelte al fine di ridurre i costi. Un produttore hardware americano, per esempio, ha istituzionalizzato e computerizzato una biblioteca di migliori pratiche in cui vengono pubblicate le soluzioni ed i problemi tra loro abbinati.


Il problema della frammentazione è ancora più accentuato quando si guarda più da vicino il processo di Creazione della Conoscenza. Per la creazione di conoscenza bisogna porre particolare attenzione anche al posizionamento dell’azienda che deve essere collocata in connessione attiva alle iniziative delle varie sedi locali. Più grande è l’ azienda, maggiori devono essere gli sforzi dati a questo compito.


Due reparti che lavorano su concetti e prototipi simili, ma  in posti diversi, potrebbero innescare processi di “cross-fertilization” (fertilizzazione incrociata delle competenze), comunicando più estesamente.

Inoltre, esiste sempre il pericolo che un nuovo concetto sviluppato in un reparto abbia grandi somiglianze con un concetto sviluppato in precedenza in un altro reparto, in un altro paese.


Questo reparto potrebbe avere realizzato un prototipo, o anche aver esperito esperienze negative dal tentare di giustificare l’idea, studiando le relative implicazioni avute con un cliente. Anche se i motivi che giustificano un concetto potrebbero cambiare, per lo meno questa esperienza deve essere portata all’attenzione e collezionata all’interno del processo di creazione di conoscenza. Per agevolare questi collegamenti il compito spetta all’Attivista  di Conoscenza. A questo punto, è importante introdurre tre concetti che possono aiutare il Knowledge Activist a plasmare il suo ruolo di connettore: la “micro-comunità di conoscenza”, la “comunità immaginata”  e  le “mappe condivise di cooperazione”.


In primo luogo, riflettiamo su come si verifica in una  micro-comunità la creazione di conoscenza. Queste comunità non sono delimitate solo da gruppi, dipartimenti o divisioni, queste entità si potrebbero sovrapporre. Una micro-comunità è un piccolo nucleo di partecipanti che si impegnano nella condivisione di conoscenze tacite, nella creazione di un concetto, nella motivazione di un concetto, nello sviluppo di prototipi e nel cross-levelling della conoscenza in tutta la società.

 

“[…] Quando una comunità si attiva, nella creazione di conoscenza,  si caratterizza per i suoi rituali, i suoi linguaggi, le pratiche, norme e valori. Una micro-comunità è caratterizzata da interazione faccia a faccia e nella creazione di conoscenza, i partecipanti hanno anche la possibilità di imparare gradualmente a conoscere di più su ogni altro membro, compreso quale tipo di comportamento sia accettabile o inaccettabile (Schutz, 1967).

 

Questa ‘Conoscenza sociale’ è la chiave per la creazione di conoscenza effettiva.

Tutte le descrizioni di creazione di conoscenze riportate da Nonaka e Takeuchi (1995) accadono nelle micro-comunità. Persone si sono riunite con spirito creativo nello stesso spazio fisico e attraverso la condivisione di loro idee, prodotti e servizi innovativi in tale processo hanno avuto modo di conoscersi a un livello profondo, fino al punto in cui la conoscenza tacita, finalmente può essere condivisa. Non ci sono limiti al numero di partecipanti nella creazione della Conoscenza, in particolare nelle fasi di condivisione di conoscenza tacita, la creazione di un concetto e lo sviluppo di un prototipo.

 
Troppi punti di vista come anche troppe, e varie,  fonti di conoscenza tacita, troppa saggezza obsoleta, possono rendere difficile la creazione di  nuova Conoscenza.”

Tuttavia le iniziative di creazione di conoscenza devono avvenire nella consapevolezza reciproca tra le micro-comunità. A questo punto torna utile  introdurre il concetto di “comunità immaginate”. Questo termine è preso in prestito dal lavoro dei due sociologi Benedict Anderson (1983) e James Calhoun (1991).

Calhoun tenta di descrivere l’America come una comunità immaginata: Mi sento un tutt’uno con altri americani che non ho mai incontrato, un senso di appartenenza comune con persone che non ho mai incontrato o sentito parlare, con le persone che nell’interazione diretta potrebbero respingermi o provare rabbia. Calhoun continua a descrivere come questo senso di comunità potrebbe anche portare la gente a combattere guerre per la causa comune di tutelare le loro tradizioni e modi di vita.


Iniziative di creazione di conoscenza sparsi per l’azienda si verificano in micro-comunità, ma queste comunità hanno anche bisogno di avere una consapevolezza di altre iniziative o, come dice Anderson, “nella mente di ognuno vive l’immagine della loro comunione”.


Il Knowledge Activist può facilitare le inter-connessioni con la creazione di comunità immaginate di questo tipo. Si devono condividere storie di micro-comunità, comunicando chi è coinvolto, quanto tempo hanno lavorato insieme, le loro idee, gli ideali e le loro frustrazioni, i concetti realizzati, i loro tentativi di concetti motivati e dei prototipi derivanti dall’iniziativa della creazione di conoscenza, e così via.

Egli deve monitorare i loro progressi nella creazione di conoscenza e diffondere resoconti dettagliati delle loro opere. Si deve creare un senso di appartenenza ad un movimento, diffondendo le ultime notizie attraverso le tecnologie dell’informazione, i contatti faccia a faccia e anche attraverso le newsletter.


Mentre micro-comunità condividono un senso di comunione, rendendo il coordinamento delle iniziative di creazione di conoscenza più semplici, l’Attivista della Conoscenza non può fermarsi alla creazione di comunità immaginate. Egli deve anche creare mappe condivise di cooperazione. Una mappa è importante per stabilire le comunità immaginate. Le persone sono a conoscenza di coloro con i quali condividono una nazionalità e sanno anche, con riferimento alla mappa, se sono geograficamente vicini o distanti. Per lo stesso motivo, la mappa condivisa di cooperazione mostra come varie iniziative di creazione di conoscenze in tutta l’azienda sono correlate.


Esistono vari tipi di mappe condivise.

​Il più semplice è un organigramma che mostra la posizione di varie persone che lavorano sulla creazione di conoscenza o di uno strumento di gestione dei progetti che mostra la partecipazione, i bilanci, le tappe, gli obiettivi ed i tempi delle iniziative di creazione di conoscenza. Un altro approccio più sofisticato è quello di mostrare un processo di creazione di conoscenza, dalla condivisione di conoscenza tacita al cross-livellamento della conoscenza, che indica la partecipazione, budget, deadline, risultati raggiunti e responsabilità. Un secondo approccio sofisticato sarebbe quello di mappare le configurazioni di competenza (von Krogh e Roos,1992), mostrando i compiti delle differenti micro-comunità e alla soluzione di questi compiti portata dalla conoscenza. Si tratta di un approccio potente, perché altre micro-comunità possono discutere apertamente su come la loro conoscenza potrebbe contribuire alla performance o dove possono trovare la conoscenza utile per il proprio compito.

Queste mappe di cooperazione devono essere condivise in tutta la micro-comunità; dovranno essere visivamente accattivanti, facili da capire e da usare, fornite con le coordinate di ciascun partecipante e hanno bisogno di mostrare come ogni micro-comunità contribuisca alla creazione della conoscenza in Azienda.

Le mappe hanno bisogno di essere espresse in un linguaggio che sia comunemente inteso in tutta l’azienda . Un possibile inganno è rendere queste mappe statiche, al fine di fornire solo una rappresentazione del processo di  creazione di conoscenza. Poiché la creazione di conoscenza è un viaggio verso l’ignoto, le mappe condivise di cooperazione dovranno cambiare con i terreni su cui si applicano.

Mappe dinamiche mostrano come procede la creazione di conoscenza, come nuovi concetti sono creati, quali problemi vengono considerati in un processo di giustificazione, lo sviluppo di nuovi prototipi e così via.

Nel cross-livellamento della conoscenza o nella condivisione di informazioni con gli altri membri nella società, le mappe condivise di cooperazione prepareranno le micro-comunità ad impegnarsi nello scambio di conoscenze. Le mappe devono essere capite come strumenti per strutturare una discussione in corso su come varie iniziative di creazione di conoscenza si intersecano e come il cross-livellamento  contribuisca alla creazione di un vantaggio competitivo per l’azienda. Ad intervalli regolari, il Knowledge Activist potrebbe anche creare “mostre della conoscenza” in cui le varie micro-comunità presentano i loro sforzi per migliorare lo scambio di esperienze.


Knowledge Activist? Un Mercante di Lungimiranza!

Il Knowledge Activist deve assumersi la responsabilità di realizzare mappe condivise di adattamento in collaborazione con il terreno che la società esplora nello sviluppo del suo business. Egli deve collegare le iniziative in cui la fecondazione incrociata porta ad economie di scopo e “di scala” nella creazione di conoscenza.


In questo lavoro, egli deve anche assumere un terzo ruolo, cioè quello di un “Mercante di lungimiranza”. Con la descrizione di questo ruolo, si intuisce che il Knowledge Activist fornirà la direzione generale per la creazione di conoscenza che avviene nelle varie micro-comunità. Come un Mercante di Lungimiranza, il Knowledge Activist deve porsi rispetto alla Conoscenza aziendale con un punto di vista che mantnga una prospettiva “a volo d’uccello”, cioè guardando dall’alto i processi di creazione di conoscenza che si verificano all’interno della società.


Una questione chiave per l’Attivista di Conoscenza è la sua capacità di capire come le varie micro-comunità percepiscono la realtà aziendale e quale sia la loro visione  rispetto all’aggregato di Conoscenza in funzione di quello che loro credono sia il posizionamento della organizzazione in cui lavorano. Questa visione dovrebbe definire il “campo” o  il “dominio” d’azione  offerto alle imprese dai suoi membri, i quali, avendo una propria mappa mentale del mondo in cui vivono, forniscono delle coordinate che devono essere elaborate per una direzione generale della qualità delle conoscenze che si dovrebbero cercare e/o creare (Nonaka e Takeuchi, 1995).


Nel lavoro con i partecipanti ai processi di creazione di conoscenza, il ruolo di Knowledge Activist sarà capire il contributo potenziale di ogni micro-comunità per lo sviluppo della organizzazione, come anche individuare in che modo le iniziative portate avanti in tutta la società, potrebbero davvero contribuire  a cambiare la sua posizione strategica. Riuscendo a costruirsi, nello sviluppo della sua funzione, una Visione generale delle varie conoscenze presenti nell’azienda, un altro compito importante del Knowledge Activist è, dunque, quello di “mercanteggiare la Visione generale dell’Organizzazione”, puntando al ruolo delle diverse Conoscenze presenti all’interno del Sistema per la creazione di un vantaggio competitivo sostenibile.

Dovrà sfidare i partecipanti stimolandoli a dare il loro contributo allo sviluppo di questa Visione generale, suggerendo come potrebbero regolare il loro lavoro per adattarsi meglio con questa Visione.


Ogni micro-comunità, impegnandosi nello sviluppo e creazione di conoscenza, deve concepire il suo lavoro in un contesto più ampio e non è un compito facile quando ci si blocca nei dettagli. In altre parole, il Knowledge Activist dovrà combattere contro la miopia che spesso ostacola i processi  di Creazione della Conoscenza.

Questo è di particolare importanza nella fase di giustificazione nella presentazione di nuovi Concetti. Concetti utili allo sviluppo di nuovi prodotti o di servizi oppure alla definizione di una strategia che consegua la condivisione di Conoscenza Tacita e che dovrà essere giustificabile nei confronti della Visione generale precostituita, come prodotto di Conoscenza aziendale obsoleta.

 

“Vendere lungimiranza è come vendere un bene intangibile come il gas, in un processo in cui  il cliente non può davvero vedere quello che sta comprando; il mercante di gas ha bisogno di strumenti tarati e facilmente comprensibili nella loro lettura, per dimostrare l’esistenza del flusso di gas, convincendo  il cliente che sta effettivamente consegnando la merce. ​Il Commerciante si dovrà preoccupare del funzionamento di questi strumenti, della loro taratura, instaurando un rapporto  sintonico ed empatico con il Cliente.”

 

Allo stesso modo, traendo spunto dalla metafora, il Knowledge Activist, “Mercante di Conoscenza” dovrà essere in grado di collocare la Conoscenza del Sistema in un’ottica lungimirante per lo sviluppo consapevole tra tutti i livelli, di nuove visioni aziendali; deve essere capace di illustrare in che modo le varie iniziative di creazione di Conoscenza supportano la sostenibilità di tali visioni, tarando gli strumenti di comunicazione e  calibrando  le mappe condivise di cooperazione in conformità ai diversi “ background culturali” e, quindi, alle mappe mentali dei membri delle diverse micro-comunità; a determinati intervalli periodici, si occuperà di definire e diffondere interventi per dimostrare che effettivamente le Conoscenze che si producono  contribuiscono e si concentrano allo sviluppo delle Visioni aziendali, portando tutti a riconoscere che gli sforzi delle micro-comunità sono un valore per tutta l’organizzazione.


Cosa non è un  Knowledge Activist

“[…] In primo luogo, l’Attivista di  Conoscenza, non lavora sul  controllo della circolazione e lo sviluppo di Conoscenza, ma sulla sua ‘abilitazione’. Ciò avviene mediante la combinazione dei tre ruoli: catalizzatore, connettore e mercante di conoscenza. Knowledge Activist  sarà solo colui che all’interno dei vari livelli della società influenza i processi di creazione della conoscenza  […] si deve, pertanto, abbandonare l’idea di controllare la creazione di conoscenza.”

Se la conoscenza fosse un bene stabile nel tempo e nello spazio, si potrebbero applicare procedure tecniche per controllare il suo sviluppo.


Ma così non è!  “[…] A contatto immediato e costante con diverse micro-comunità, egli ha accesso a conoscenze sia implice che esplicite, concetti e prototipi,  ed è egli stesso che modifica continuamente le “Mappe di cooperazione”, assumendo una posizione da “Creazionista” (visionario [n.d.r.]); il ‘Creazionista è colui  che guarda alla Conoscenza come ad un ‘potenziale per l’innovazione’ come un’effettiva nuova fonte di vantaggio competitivo; l’Attivatore di Conoscenza deve essere consapevole – e convivere –  con il fatto che la Conoscenza ha anche  caratteristiche ‘malvagie’. La Conoscenza è fluida, è dinamica, è in parte tacita ed in parte esplicita, ed è legata a singoli individui come a gruppi di persone. Per questo motivo, l’Attivista di Conoscenza non può essere un controller, piuttosto un facilitatore del suo incremento e dello sviluppo di nuova Conoscenza.”


Dunque, per il Knowledge Activist, ciò che conta sono i processi di innovazione, che contribuiscono a creare, e le persone, per le quali facilita il loro incontro e la loro interazione, con lo scopo di creare la sintonia necessaria per la condivisione di idee private (che a volte sono, inconsapevolmente, nascoste), smantellare i “noxiants” a favore di una proficua collaborazione (impostando i limiti dei comportamenti indesiderati), liberare il potenziale creativo del gruppo, estendendo le loro menti ad abbracciare nuovi concetti e ad applicare con cura la loro sapienza, sia tecnica che teorica, per sviluppare nuovi concetti e nuovi prototipi.

 

“Un Knowledge Activist con la mentalità di un controller sarà piuttosto  un ostacolo  per la creazione di conoscenza.”

 

In secondo luogo, l’esercizio dell’Attivismo della Conoscenza non lavora solo sulla connessione intelligente degli  altri, ma anche sulle sue auto-connessioni, accumulando conoscenza personale.


Quale ‘mercante di lungimiranza’, un Knowledge Activist si troverà in una posizione vulnerabile (e sgradevole) perché nell’intento di collocare Conoscenza si troverà ad affrontare costantemente considerazioni a breve termine, aspirazioni, bisogni e paure delle micro-comunità. Egli corre in genere il rischio di essere definito come un visionario senza alcuna base solida nello svolgimento delle sue attività. Le mappe di cooperazione che egli crea potrebbero essere viste come una sua stessa finzione, piuttosto che essere interpretate come una ‘bussola’ per la creazione di conoscenza utile allo sviluppo del benessere della comunità.

Per superare quest’ostacolo di natura ideologica, il Knowledge Activist deve sviluppare una sensibilità molto alta, allo scopo di facilitare il funzionamento della creazione di conoscenza di ciascuna micro-comunità. Egli dovrà costruire la fiducia collettiva, dimostrando forti capacità di resistenza alle credenze consolidate e un preciso intento per la collaborazione continuativa. Egli dovrà padroneggiare l’Arte delicata dell’Indagine attenta come quella del Dialogo, in base alla quale egli finalizza l’intento di ogni comunità in linea con gli obiettivi della Organizzazione, che vuole incrementare il suo aggregato di Conoscenza.


Senza la chiara e consapevole intenzione di creare conoscenza in tutta l’Azienda, il Knowledge Activist sarà solo un investimento in più che non pagherà nel lungo periodo. Il suo ruolo è quello di consentire, non creare. Egli non potrà mai compensare una vocazione carente dell’azienda nel voler effettivamente creare Conoscenza per sviluppare il business oppure perseguire gli obiettivi dell’organizzazone […]; non si deve dimenticare che il Knowledge Activist è solo una condizione che: consente, catalizza, collega e commercia visioni di lungimiranza attraverso la Creazione di Conoscenza.  Non si deve guardare al Knowledge Activist in modo isolato, ma come parte di un pacchetto completo, per il quale nuove fonti di vantaggio competitivo sono garantite per il futuro dell’Organizzazione”


Chi può (o dovrebbe) essere un Attivista della Conoscenza?

Tutti i membri dell’organizzazione, di volta in volta, potrebbero attivare la Creazione di Conoscenza in una Organizzazione? Oppure si dovrebbe pagare, per avere a disposizione un task autonomo che si occupi della pratica di Attivismo di Conoscenza? Anche se la creazione di conoscenza dovrebbe già attivarsi da sola nelle micro-comunità, un collegamento tra l’Intento dell’Organizzazione e la ​Società (Economia) della Conoscenza potrebbe rivelarsi, in effetti, nella definizione di una strategia di debole efficacia; in un progetto che potrebbe mancare di lungimiranza ed a tutti gli interventi a favore dello sviluppo di Conoscenza potrebbe essere data scarsa attenzione da parte dei membri dell’Organizzazione.


Chi, allora, potrebbe essere un Attivista di Conoscenza?

Tra aziende diverse, l’attivismo di conoscenza non sempre ha le stesse origini. In molte aziende – grandi, che diversificano le loro attività con elevata attività di Ricerca e sviluppo a livello internazionale – si osserva che il ruolo del ‘Centro Ricerca & Sviluppo Corporate (CRSC)’  è destinato a cambiare.

Spesso, invece di condurre la ricerca di base, la ricerca applicata o anche lo sviluppo di un prodotto, questi centri stanno assumendo il ruolo di coordinatore delle attività di sviluppo e diffusione della conoscenza in tutte le funzioni e divisioni prodotto della società.


Ciò sta accadendo perché queste aziende – le più evolute – stanno sviluppando nuovi paradigmi produttivi, basati, ad esempio, sui concetti di lean production oppure outsourcing. 


La ricerca e sviluppo applicate sono viste essenzialmente come attività connesse alle imprese collegate alle diverse industrie, ai mercati, ai gruppi di clienti e di prodotti. Il ruolo fondamentale della ricerca e sviluppo aziendale è quello di collegare i vari risultati di ricerca in tutte le attività, con l’intento di creare “economie di scopo”. Il CRSC funziona, quindi, da catalizzatore per la creazione di conoscenze locali, fornendo guida per la ricerca di base.

Questi possono innescare questioni connesse alla propria attività, utilizzando i risultati della ricerca di base come leva per consentire l’entrata in nuovi processi di innovazione a livello di business.

Questi centri di R&S sono strettamente legati alla strategia aziendale attuata dalla società e, quindi, assumono una particolare responsabilità nel definire il suo intento di Creatore di Conoscenza. Questo perseguimento dell’idea di Creatore di Conoscenza richiede che i Centri di R&S aziendali siano in grado di coordinare iniziative tese all’innovazione attraverso la creazione di conoscenza esplicita, sostenendo la sua trasformazione impegnandosi in conversazioni  intensive con l’alta dirigenza, con lo scopo di argomentare sui processi di change management e di creazione di comunità di pratica.


I “pro” e i “contro” sono abbastanza chiari.

Come Knowledge Activist, i CRSC, possono essere catalizzatori efficaci per la creazione di nuova conoscenza, rimanendo vicini alla elaborazione della strategia aziendale, potendo quindi comunicare ed influenzare le decisioni aziendali diffondendo l’accumulo di conoscenza in maniera esplicita per facilitare le decisioni del management.


La questione del dove dovrebbe avvenire attraverso la creazione di conoscenza. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di limitare la ricerca di base sui livelli aziendali e la ricerca applicata e lo sviluppo del prodotto al livello di business. Ma, come alcuni manager di R&S hanno sperimentato, questa distinzione tra ricerca di base e ricerca applicata è intrinsecamente sfocata. In una mappa di cooperazione, l’organizzazione e la divisione del lavoro di Creazione di Conoscenza deve essere risolto su una base che vada a sviluppare caso per caso.


Come suggerito da Gary Hamel, “strateghi che sentono il  bisogno di lavorare come attivisti, inducono il cambiamento in tutta l’organizzazione e creano impegno per un Ideale. Il Personale preposto alla pianificazione strategica e i Centri di previsione possono svolgere un ruolo importante come Attivisti della Conoscenza per la creazione di valore. Dal momento che la Conoscenza è una fonte di vantaggio competitivo, gli strateghi sono tenuti a prendere  in considerazione la Conoscenza, e  le altre Risorse Immateriali [come il Capitale umano, n.d.r.],  nei processi di  pianificazione strategica”. Ciò a sua volta richiede anche che questi strateghi sviluppino una elevata sensibilità alle varie iniziative di Creazione di Conoscenza che si verificano in tutta l’azienda, comunicando intensamente con gli sviluppatori di prodotti, ricercatori, personale di vendita e di marketing, responsabili della comunicazione aziendale e così via.


Gli strateghi formano il nesso tra flussi di informazioni in tutta l’azienda, assumendosi la responsabilità per l’individuazione e il lancio delle tipologie di nessi nella strategia di evoluzione.

I “pro”  nell’impiegare gli strateghi come Attivisti della Conoscenza consiste nel fatto che  questi sono vicini allIntento di Conoscenza dell’Organizzazione, e dovrebbero  essere in grado di comunicare e spiegare l’importanza del rapporto che esiste tra Conoscenza Pratica ed Azione. Possono lavorare attivamente come ‘mercanti di preveggenza’, collegando le varie iniziative di Creazione di Conoscenza ai fattori di cambiamento ambientale esterni (come ad esempio la minaccia rappresentata  da nuovi concorrenti o da nuovi sviluppi tecnici), intensificando le strategie di concorrenza, esercitando una maggiore influenza sul lato dei fornitori, adeguarsi alle mutevoli esigenze dei mercati, e così via.


I “contro” sono altrettanto chiari.

Gli strateghi si rivelano spesso persone molto occupate, si trovano ‘sempre di fretta’ per cercare di tenere il passo con i cambiamenti ambientali. Addirittura, forse, non hanno a disposizione la necessaria ‘pazienza’ per ‘catalizzare la creazione di conoscenza’. Come connettori di iniziative di creazione di conoscenza potrebbero funzionare bene, ma il pericolo è che possano tendere ad esercitare un controllo sulla Conoscenza; questo perché è consolidato in loro, quali strateghi, la tendenza di cercare di guidare la Creazione di Conoscenza per piegarla alla strategia a sfavore di una Creazione di Conoscenza evolutiva di tipo bottom-up. Gli strateghi, normalmente, sono spesso identificati come portatori di una strategia deliberata e un intento strategico volutamente definito. Essi normalmente non acquisiscono la reputazione di coloro che portano ad emergere le iniziative locali con lo scopo di amplificarle in tutta l’Organizzazione. Per gli strateghi diventare, anche eccellenti Attivisti di Conoscenza, significherebbe acconsentire ad un cambiamento di mentalità, perché dovrebbero prestare sempre maggiore attenzione ad incentivare e far emergere la Creazione di Conoscenza bottom-up.


Alcune aziende, come ad esempio ABB, hanno stabilito che la Conoscenza e il Trasferimento di Conoscenza tecnologica (KTT)’, sia preposto ad Unità che si assumono la responsabilità per le tecnologie di trasferimento, il riconoscimento delle migliori pratiche (best practice), le esperienze e così via,  in tutta l’Organizzazione.

Lo scopo di queste unità di livello globale è cercare di sfruttare le Conoscenze locali distribuite in tutto il mondo, in modo sistematico e veloce. Le unità lavorano normalmente con i dipartimenti di ingegneria, intesi come sorgenti e ricevitori di [tecniche, n.d.r.] e tecnologie.


La loro responsabilità è quella di individuare le competenze sulla tecnologia, individuare le tecnologie da trasferire, definire procedure di documentazione, sviluppare programmi di formazione e di gestire i progetti di trasferimento. La KTT  sta diventando una disciplina con un notevole impatto sul vantaggio competitivo della società multinazionale: la sua capacità di eccellere in questa disciplina avrà quindi influenza sulle prestazioni del settore a lungo termine. Per le KTT i “Pro” consistono nel fatto che, come “Connettori di iniziative di Creazione di Conoscenza”, queste possono sviluppare le necessarie attitudini. Come gli strateghi, funzionano come “nesso di informazioni, di tecnologia e di conoscenza dei flussi nella società”. Le KTT possono sviluppare anche particolari esperienze nella gestione di progetti che collegano le iniziative di creazione di conoscenza. Sviluppano anche particolari esperienze nell’approccio al trasferimento di conoscenze, così come nel bilanciamento del ‘trasferimento della conoscenza tacita’ attraverso la formazione continua e il trasferimento di conoscenza esplicita attraverso la redazione dei documenti di progettazione.


Ma esistono anche in questo caso dei “Contro”.

Infatti le KTT si potrebbero rivelare ‘troppo contract o project oriented’.

E ciò andrebbe in contrasto con il terzo ruolo attribuito alla Funzione del Knowledge Activist. In quanto Conoscenza creata con ‘valore a termine’, non avrebbe significato di esistere, per quanto fino ad ora discusso.


Come ‘Mercanti di lungimiranza’ o di ‘Preveggenza’ di una Visione Aziendale,  quindi le KTTS,  potrebbero non funzionare adeguatamente nel voler mantenere il principio dell’Intento di Conoscenza. Infatti, si deve dare un senso, uno scopo ed una direzione nelle ‘Connessioni delle Conoscenze’ facendo riferimento all’Intento da perseguire. Un’altra difficoltà che le KTT potrebbero incontrare consiste nel fatto che (a differenza di un Centro di Ricerca e Sviluppo), queste non hanno le competenze tecniche di base che sono necessarie per catalizzare la Creazione di Conoscenza.

Inoltre, queste Unità potrebbero non essere ‘abbastanza vicine al mercato’, allo scopo di raccogliere nuovi segnali da parte del Clienti, segnali che potrebbero innescare nuove Creazioni di Conoscenza. Dunque, per funzionare bene come Knowledge Activist, le KTT  hanno bisogno di lavorare a stretto contatto con i ‘listening-posts’, come ad esempio il personale di vendita, le funzioni di marketing, gli strateghi, i ricercatori e i loro  partner.


Esiste un’altra possibilità, che è la più convincente per gli Autori. Quella di assegnare la Responsabilità per l’Attivismo di Conoscenza ad un Individuo o ad un Reparto ad hoc, appartenente ad una micro-comunità.


L’Attivista di Conoscenza, in questo caso, svilupperebbe i tre ruoli in modo equilibrato, cercando di catalizzare nuove creazioni di conoscenza, collegare le iniziative di creazione di conoscenza, così come facilitare l’introduzione selezionata dei processi locali di Creazione di Conoscenza. I ‘Pro’ e i ‘Contro’ di questo approccio che ci viene suggerito, sono riconducibili a tutta la discussione di cui sopra. In questo caso il Knowledge Activist, sarà qualcuno che impegna il tempo necessario per la Creazione di Conoscenza e sarà in grado di fornire, a tutta l’Organizzazione, il senso, la direzione e lo scopo di tutte quelle iniziative di Creazione di Conoscenze locali che accadono all’interno delle micro-comunità .


Forse, in questo momento, alcuni lettori avranno già adottato l’idea d’incaricare un membro di una micro-comunità come Knowledge Activist all’interno della propria organizzazione. Rendendosi conto dei vantaggi procurati da questo approccio, tra cui l’accettazione a livello locale nella sua micro-comunità e una profonda comprensione del processo di creazione della conoscenza in generale, all’interno dell’intera organizzazione.


Ma anche in questo caso esistono dei ‘Contro’. La minaccia più rilevante all’efficacia nell’adozione di questo approccio sarebbe, tuttavia, il fatto che il Knowledge Activist  potrebbe perseguire gli interessi della propria micro-comunità oppure essere messo sotto accusa da altre comunità di farlo. Inoltre, potrebbe essere difficile per lui infondere lungimiranza nelle iniziative di Creazione di Conoscenza, in ragione dell’alto grado di coinvolgimento nel processo di Creazione della Conoscenza interno alla micro-comunità di appartenenza.


Come iniziare ?

A questo punto della discussione, il lettore dovrebbe essere sufficientemente sensibilizzato rispetto al ruolo ed alle funzioni dell’Attivista di Conoscenza, ed alle sfide alle quali è chiamato. Gli Autori sono convinti che le idee presentate nel loro essay potranno avere un impatto positivo sulle eventuali intenzioni di intraprendere attività tese alla Creazione di Conoscenza in una Organizzazione.

Concludendo, dunque, per avviare un processo generale di Creazione di Conoscenza, si potrebbero prendere in considerazione alcune azioni iniziali, che sono:

  1. Identificare e Creare una Visione della Conoscenza;

  2. Stabilire e diffondere l’Attivismo della Conoscenza come un concetto importante per il futuro dell’Organizzazione, includendo nel dibattito organizzativo la Creazione di Conoscenza per il change management e l’Innovazione;

  3. Argomentare sul come l’Attivismo di Conoscenza dovrebbe funzionare;

  4. Identificare ed incaricare il Knowledge Activist, chiarendo le aspettative e i ruoli;

  5. Identificare e nominare le micro-comunità di conoscenza, indicando in quale campo le nuove micro-comunità potrebbero emergere;

  6. Avviare la discussione per definire in quale misura le iniziative di Creazione di Conoscenze locali si possano allineare con la Visione della Conoscenza generale dell’Organizzazione;

  7. Collegare le micro-comunità in tutta l’Organizzazione, mediante la condivisione di case-history  ed iniziare a  diffondere le ultime notizie;

  8. Sviluppare le mappe dinamiche di cooperazione, che saranno  da condividere nell’Organizzazione, mappando le Attività del Knowledge Activist nei processo di Creazione di Conoscenza, nei progetti di change management  e di innovazione, nei Centri di Eccellenza;

  9. Discutere con il top-management queste mappe condivise assicurandosi che siano in linea con gli obiettivi della vision strategica dell’Organizzazione, per poi distribuirle alle varie micro-comunità, assicurando che queste siano  aggiornate su base regolare;

  10. Realizzare ‘Mostre della Conoscenza’

 

Reference

Adattamento e traduzione tratto da: Ikujiro Nonaka, Georg von Krogh e Kazuo Ichijo, “Develop Knowledge Activists!” – European Management Journal Vol. 15, No. 5, pp. 475-483, 1997 © 1997 Elsevier Science Ltd. Adattamento e traduzione di Vittorio Dublino


Ulteriori reference

  1. Anderson, B. (1983) Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism. New Left Books, London

  2. Bourdieu, P. (1980) Questions De Sociologie. Editions de Minuit, Paris

  3. Calhoun, J. (1991) Indirect Relationships and Imagined Communities: Large-Scale Social Integration and the Transformation of Everyday Life. In Social Theory for a Changing Society, eds P. Bourdieu and J.S. Coleman, Westview Press, Colorado

  4. Kriwet, C. (1997) Infra- and Inter-organizational Transfer, Doctoral Dissertation, Institute of Management, University of St. Gallen

  5. von Krogh, G. and Roos, J. (1992) Figuring out your competence configuration. European Management Journal, December, 422-426

  6. Hamel, G. (1996) Strategy as revolution. Harvard Business Review, Jul.—Aug., 69-71

  7. March, J.G. and Olsen, J.P. (1976) Ambiguity and Choice. Norwegen University Press, Oslo

  8. Nonaka, J. and Takeuchi, H. (1995) The Knowledge-Creating Company: How Japanese Companies Create the Dynamics of Innovation. Oxford University Press, New York

  9. Ricoeur, P. (1992) Hermeneutics and Human Sciences. Cambridge University Press, Cambridge

  10. Schutz, (1967) The Phenomenology of the Social World. Northwestern University Press, Evanston, Illinois

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