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  • Vittorio A. Dublino

Controllare l’Immigrazione è un Bene per la Democrazia …?










Gli Italiani sono un popolo che nel passato recente ha emigrato, non ha colonizzato come i Cittadini di altre nazioni europee. Tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato l’Italia, senza farvi più ritorno, circa 18.725.000 di italiani.

Wikipedia ci narra che, nell’arco di poco più di un secolo,  è emigrato un numero consistente di italiani, soprattutto considerando la popolazione residente nella Penisola al momento della proclamazione del Regno d’Italia (1861) che era, considerando i confini attuali (cioè anche con Lazio e Triveneto), pari a circa 26 milioni di italiani (la popolazione italiana raggiunse poi, nel 1981, i 56 milioni di abitanti). Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 l’emigrazione italiana interessò prevalentemente l’Italia settentrionale, con tre regioni che fornirono da sole più del 47% dell’intero contingente migratorio: il Veneto (17,9%), il Friuli-Venezia Giulia (16,1%) ed il Piemonte (13,5%). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò all’Italia meridionale, con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia. La causa principale dell’emigrazione italiana fu la povertà, nonché la mancanza di terra da lavorare, specialmente nell’Italia meridionale.

In realtà (*) un flusso di migranti italiani avevano già scelto di andare negli Stati Uniti tra la fine del 1700 e la prima metà del 1800: molti erano dissidenti politici, gli sconfitti dei moti del 1848, ai quali l’esilio negli Usa è dato come possibilità alternativa al carcere; prima del 1876 si calcola che negli Usa ci fossero già 44 mila italiani circa. Gli italiani che partono per l’America, provengono soprattutto dalle regioni del sud, impoverite dall’Unità d’Italia. Le politiche repressive dell’esercito dei Savoia coi massacri di “briganti” (che spesso briganti non sono) e la mancanza di una riforma agraria spingono centinaia di migliaia di contadini a lasciare la propria terra. Perché proprio in America? Dagli Usa, reduci dalla guerra di secessione, c’è richiesta di manodopera per sostituire gli schiavi ormai liberi. E poi c’è anche una ragione pratica ed economica: il viaggio in nave verso le Americhe, che dura circa 12 giorni, costa meno del biglietto del treno per il nord dell’Europa.  Il fatto che gli italiani si trovino a rimpiazzare gli afro-americani e lavorare a stretto contatto con loro, li rende socialmente indesiderabili, ‘Vittime del Razzismo’,  agli occhi dei bianchi. Gli atti di razzismo non si contano: e se sospettati di un crimine gli italiani, come i neri, vengono linciati pubblicamente e senza processo.  

La capacità di controllare l’ingresso in un paese è una delle prerogative fondamentali di una nazione sovrana. Questa capacità è tanto importante quanto lo è il Potere di elaborare e di amministrare la Legge, di battere moneta, di aumentare le tasse oppure l’ultima abominevole ratio di ‘dichiarare guerra’ ad un altro paese. Per esercitare un ‘controllo sovrano’ sul suo territorio, non è sufficiente che uno Stato sia in grado di applicare la Legge a tutti coloro che presenti sono sul suo territorio. Deve essere in grado di controllare chi entra. Sebbene possa scegliere di non esercitare tale controllo, mantiene sempre questo diritto, che può o deve esercitare in qualsiasi momento. Questo è ciò che significa essere Sovrani.

Il Potere deve avere uno scopo per essere giustificato.Quindi è necessaria una spiegazione sul perché sia ​​necessario il controllo dell’immigrazione. Ciò porta, quindi, al secondo motivo per cui la limitazione dell’immigrazione di massa è importante, probabilmente il più fondamentale. L’immigrazione di massa mina la capacità di un gruppo di persone individuali di essere un Popolo – di avere vincoli di lealtà l’uno con l’altro; avere la capacità di essere orgogliosi dei reciproci risultati e provare vergogna per i loro difetti; per amarsi, non in senso romantico, ma in quel senso fraterno che contraddistingue coloro che vivono bene insieme. È solo una questione che inerisce sulla natura umana, sui tipi di esseri che siamo, che amiamo, di coloro con cui condividiamo la vita e dei quali ci prendiamo cura: in un modo che è diverso da quelli che ci sono estranei, ma secondo la nostra Identità. Controllare l’Immigrazione è un bene per la Democrazia (**)

Per prosperare dobbiamo Appartenere

Dall’origine dell’Uomo, l’Appartenenza è stata  parte costituente della sua Socialità e motore di prosperità di una Comunità.

Appartenere è una questione di Identità. Ma cos’è l’Identità?

Il concetto d’Identità sembra abbastanza comune tra le Culture  e, nel discorso popolare, questo è spesso considerato qualcosa di ineffabile,  quasi sacro: perché preoccuparsi di definizioni o di spiegazioni dell’Identità … pertanto tutti ci illudiamo di sapere come impiegare la parola, in maniera comprensibile da tutti.

Tuttavia nell’ambito della Scienza, nell’accademia, l’Identità è trattata come qualcosa di complesso, evitando di sacralizzare il concetto. Il professore in Scienze Politiche all’Università di Stanford, California, James Fearon, nel suo saggio (***)  sull’uso in ambito politico, sociale e nelle relazioni internazionali della parola Identità ha collezionato alcune definizioni accademiche dell’Identità:

1. L’identità è “un concetto che le persone sviluppano per descrivere: chi sono, che tipo di persona sono, e come mi riferisco agli altri” (Hogg e Abrams, 1988)

2. “L’identità è usata per descrivere il modo in cui individui e gruppi si definiscono e sono definiti da altri sulla base di razza, etnia, religione, lingua e cultura”(Deng, 1995)

3. L’Identità “si riferisce ai modi in cui gli individui e le collettività si distinguono nelle loro relazioni sociali con gli altri individui e collettività “(Jenkins, 1996)

4. “L’identità nazionale descrive quella condizione in cui una massa di persone ha fatto la stessa opera d’identificazione con le simbologie nazionali, ed ha interiorizzato i simboli della nazione …”(Bloom, 1990)

5. Le identità sono “intese e aspettative relativamente stabili, specifiche del ruolo sé “(Wendt, 1992).

6. “Le identità sociali sono insiemi di significati che un Attore attribuisce a se stesso rispetto alla prospettiva degli Altri; cioè è un ‘oggetto sociale’: le identità sociali sono contemporaneamente più schemi cognitivi che consentono ad un Attore di determinare ‘chi sono/chi siamo’ in una situazione, cioè nella strutturazione di un ruolo sociale con comprensioni ed aspettative condivise” (Wendt, 1994)

7. “Per identità sociale intendo il desiderio di distinzione, di dignità e di posizione del Gruppo di appartenenza all’interno della storia, cioè nei discorsi specifici (frame di comprensione) sul carattere, la struttura e i confini della politica e dell’economia” (Herrigel, 1993)

8. “Il termine identità, per convenzione, fa riferimento ad immagini mutuate e in evoluzione di sé e dell’altro” (Katzenstein, 1996).

9. “Le identità sono … rappresentazioni prescrittive degli stessi attori politici e delle loro relazioni tra loro” (Kowert e Legro, 1996)

10. “La mia identità è definita dagli impegni e dalle identificazioni che forniscono la cornice o l’orizzonte entro il quale posso provare a determinare, caso per caso, ciò che per me è buono o prezioso, ciò che dovrebbe essere fatto nei miei interessi, oppure ciò che approvo o al quale mi oppongo” (Taylor, 1989)

11. “E se l’identità fosse concepita non come un limite da mantenere, ma